Dic 18, 2020Dieci anni fa, il 17 dicembre 2010, l’ambulante di prodotti ortofrutticoli Mohammed Bouazizi si dava fuoco davanti al governatorato di Sidi Bouzid, in Tunisia, in segno di protesta per le pessime condizioni socio economiche in cui versava il suo Paese.
Quel gesto estremo scatenò un’onda potentissima, una reazione a catena, quella che oggi definiremo l’inizio della “primavera araba”: migliaia di persone scesero in piazza, invadendo le strade della Tunisia, da nord a sud, uniti per manifestare compatti contro la corruzione dilagante, il mancato rispetto dei diritti umani, la povertà e la fame. Un fiume che si riversò poi nei vicini Stati seppur con intensità diversa: Egitto, Siria, Libia, Yemen, Algeria, Iraq, Bahrein, Giordania, i paesi furono travolti dallo stesso fiume umano, da quel sentimento diffuso di protesta contro quei regimi autoritari e largamente stringenti.
Dieci anni dopo, a ripensarci, solo lo stato tunisino è riuscito ad ottenere dalla “Primavera araba” un effettivo processo di democratizzazione, complici le forti associazioni femministe ed il potere ben strutturato dei sindacati e della società civile. Il gesto di Mohamed ha cambiato le sorti del Paese, restituendo alla Tunisia una nuova Costituzione e una forma di governo democratica basata sul consociativismo, specchio della propria storia e cultura.
Non posso affermare lo stesso per l’Egitto, la Siria, lo Yemen e lo stato libico, divenuti polveriere jihadiste e scenari di orrori indicibili.
Auspico che i futuri Stati, ora martoriati, possano rinascere su nuovi valori costituenti in grado di raccontare con la voce delle nuove generazioni, la storia ed il futuro del Paese.
Le nuove generazioni sono il seme di quella Primavera araba: il grido di cambiamento e il monito di nuove mentalità ancora possibili!
Scritto da Yana Ehm