Militari, rivolte e taglio delle comunicazioni con il nord. Il bersaglio di Abyi e il Fronte di liberazione.
Nonostante l’importante lavoro svolto dall’attuale Primo ministro, Abiy Ahmed, premio nobel per la Pace, l’Etiopia vede minacciati gli importanti passi compiuti di pace e democratizzazione, da gruppi etnici da sempre in conflitto.
Nelle ultime settimane il governo centrale ha infatti programmato un’offensiva nel Tigray governato dal Fronte di liberazione popolare (TPLF), a causa, parrebbe, di un attacco ad una base militare federale.
Al contrario, il Presidente della regione Tigray, Debretsion Gebremichael, è convinto che lo schieramento delle truppe del governo centrale siano un vero e proprio attacco e il motivo andrebbe individuato nelle elezioni per il Parlamento, rinviate a causa della pandemia.
L’Unione Africana, in una dichiarazione ha invitato le parti ad allentare le tensioni e ad impegnarsi invece in un dialogo costruttivo e inclusivo sottolineando che l’impatto sull’intera regione potrebbe essere devastante e coinvolgente interi Stati quali il Sudan, la Somalia e l’Eritrea.
Sarà difficile. Quando parliamo di Africa e di Stati africani dimentichiamo quasi sempre che l’Africa è anzitutto formata da etnie e poi da Stati in senso lato. Gruppi ben definiti, coesi da storie millenarie che vivono sentendosi profondamente parte di quel gruppo/etnia prima ancora che dallo Stato di appartenenza. Non sarà certo l’unica motivazione plausibile ma piuttosto una spiegazione valida per comprendere correttamente l’”humus” del Continente che, nonostante processi di “democratizzazione all’occidentale” non riesce, ancora oggi, a trovare una sua dimensione perpetrando in focolai di violenza e teatri di guerra dai risvolti ambigui e pericolosi come quelli verificatisi nella notte tra il 3 e il 4 novembre nella capitale del Tigray e nella città di Dansha tra le forze dell’esercito federale e quelle regionali del Tigray causando morti e feriti.
Intanto, è notizia degli ultimi giorni che il Presidente Abiy Ahmed ha destituito il capo di stato maggiore dell’esercito Adem Mohammed, per l’offensiva militare nel nord del Paese, e sostituito il capo dell’intelligence Demalesh Gebremichael ed il ministro degli affari esteri Gedu Andargachew.
Questa decisione arriva proprio un giorno dopo che il parlamento etiope, in una sessione d’emergenza, ha votato lo scioglimento del governo del Tigray, con la motivazione di aver “violato la costituzione e messo a repentaglio il sistema costituzionale”.
La paura di un conflitto civile è reale, soprattutto se esaminiamo il quadro politico già di per sé fortemente caratterizzato da tensioni determinate dalla crisi del modello federale su base etnica infatti, con la vittoria nel 2018 di Abiy Ahmed (di etnia Oromo), il governo più che decennale di stampo tigrino è terminato provocando tumulti e attacchi interrotti dalla sola pandemia da Covid e dalla decisione di spostare la data delle elezioni politiche nazionali.
Molti di voi sapranno che lo scorso anno mi sono recata in missione in Etiopia per incontri istituzionali sul territorio, per comprendere appieno la realtà locale e audire l’importante lavoro svolto dal Parlamento centrale. Il nostro Paese dunque, ha da sempre intessuto rapporti di profonda amicizia con l’Etiopia e con l’insediamento nel 2018 del Presidente Ahmed i rapporti non sono stati altro che rinsaldati.
Ne parliamo poco e le notizie non vengono quasi mai riportate, ma è bene ricordare che nel campo della cooperazione internazionale il nostro è un Paese di rilievo. L’Italia infatti, in sinergia con quelle che sono le tradizioni e lo sviluppo del territorio ha voluto investire sul suo sviluppo rurale, sull’ambiente, sulle infrastrutture e la salute pubblica.
Per tale ragione, se l’Etiopia non imboccherà quanto prima la strada del dialogo gli effetti potrebbero essere devastanti per l’intera area:
In primo luogo il crescente aumento di violenza tra etnie locali e, in secondo luogo per l’incremento della conflittualità con l’Egitto in merito allo sviluppo della diga Grand Ethiopian Reinnassance Dam – GERD, costruita anche con il contributo dell’Italia e dell’Eritrea, sua vicina di casa.
La diga ha creato non poche tensione negli ultimi mesi a causa dell’avvio da parte dell’Etiopia del riempimento del primo bacino, fortemente contestato dall’Egitto richiedente, al contrario, accordi specifici per la gestione dei flussi nel Nilo a cui vanno ad aggiungersi quelli del Sudan.
La crisi etiope potrebbe essere sfruttata malamente dall’Egitto per i propri interessi e l’Eritrea potrebbe solcare l’onda rendendo le frontiere con l’Etiopia insensibili a qualsiasi tipo di rifornimento, dovute in parte anche alle forti ostilità con le autorità del TPLF reputato l’artefice dei conflitti e delle sommosse degli anni passati.
Se il Paese non imboccherà seriamente la strada del dialogo, rischierà davvero di diventare l’ennesimo teatro di guerra sottomesso alla legge del più forte, in cui a vincere saranno i soli interessi di profitto a discapito della popolazione e della pace.