Siria, 9 anni di guerra civile, di guerra internazionale, una situazione che forse tendiamo a dimenticare, ma che invece dovrebbe interessarci tutti.
Idlib, Afrin, Latakia, Aleppo, Damasco. Negli ultimi mesi del 2019 la crisi siriana ha purtroppo subito un’ulteriore escalation, con i principali contendenti le forze del regime di Assad e la Turchia: prima l’operazione turca “Peace Spring” di ottobre 2019 con cui l’esercito turco e le milizie ribelli filo Ankara hanno presto il controllo del Rojava, il nord est siriano; poi la ripresa delle offensive da parte del regime di Assad nelle zone del nord ovest, l’area di Idlib, in cui l’influenza turca è altrettanto forte.
Il controllo sul territorio è attualmente quasi totalmente sotto le forze di Assad che avanzano e spingono. Rimane Idlib, quella controllata dai nemici, da questa eterogenea galassia di gruppi ribelli sunniti più o meno islamisti, dove tra i più dominanti troviamo Hayat Tahrir al Sham (già al Nusra) e milizie armate e sostenute dalla Turchia
In questa zona di importanza strategica, vicinissima ad Aleppo, vi sono le due autostrade M4 ed M5: la prima collega Latakia ad Aleppo, la seconda Aleppo a Damasco.
Una regione dove vivevano 800mila persone, che poi sono diventate 3milioni, di cui un milione di civili è oggi in fuga, l’esercito arabo siriano non ha mai smesso di attaccare, anche con il sostegno dell’aviazione russa e la Turchia non ha mai smesso di contrattaccare.
Eppure proprio Erdogan e Putin nel 2018 avevano firmato l’accordo a Sochi, che prevedeva proprio la demilitarizzazione di quella regione. Anche gli accordi di Astana (che prevedono anche la presenza dell’Iran) prevedevano accordi di de-escalation. Eppure i convogli militari non cessano di arrivare nell’area, gli attacchi e le esplosioni colpiscono civili, ospedali, scuole.
Lo scopo della Turchia sarebbe quello di far retrocedere gli estremisti, ovvero i gruppi terroristici legati all’ex Al Qaeda, con la scusa di respingerli e liberare le aree dai fondamentalisti. Dall’altra parte Assad ha bisogno di primeggiare sull’ultimo bastione rimasto da conquistare. Vincere Idlib per Assad, significa vincere la guerra.
Ieri poi le notizie di un feroce attacco, forse uno dei più gravi in questo periodo: oltre trenta soldati turchi rimasti uccisi in un attacco aereo. Erdogan, con le spalle al muro, invoca subito l’aiuto e l’intervento della NATO, ma forse si è ricordato troppo tardi di farne parte.
I civili in fuga aumentano, e la Turchia annuncia di non controllare più i confini, creando un effetto di spinta verso le frontiere europee, a cominciare dalla Grecia.
Intanto questi sono i numeri di Idlib: Ocha (l’ufficio Onu per il coordinamento umanitario), precisa che gli sfollati dal 1 dicembre a oggi sono 948mila. E che di questi 569mila sono minori, 195mila sono donne. Donne e bambini compongono l’81% dell’intera comunità di sfollati siriani a Idlib.
Concludo come ho iniziato: forse pochi comprendono la vitale importanza di questo paese, complesso ma fondamentale sotto l’aspetto politico, commerciale, religioso e culturale, nella quale si sta per svolgere una delle più sanguinose guerre dell’ultimo decennio.