Riuniti a Vienna in due giorni di conferenza le massime cariche istituzionali relative alla gestione dell’immigrazione in Europa, e tecnici esperti delle aree di provenienza dei flussi migratori.
Seduti sul palco i ministri di alcuni paesi europei, e rappresentati UE. Tema centrale, i flussi migratori e la loro ricaduta in Europa. Mentre l’Ungheria cerca di proteggere i propri confini, tifa per l’allargamento europeo e chiede sostegno per il vicino Erdogan, Malta dalla sua posizione strategica nel Mediterraneo lamenta i troppi sbarchi. Salvare vite, dice, è una priorità, ma non scordatevi le dimensioni della nostra isola. Quello che salta agli occhi oggi è la corsa a ricordare al mondo quanto ogni stato ha già fatto per aiutare i migranti.
Sebbene il Portogallo abbia voluto ricordare che il 60% dei migranti presenti in Europa viene da Stati comunitari, eccezion fatta per Spagna, Italia, e Svezia, si è ribadito più volte che gli Stati di primo arrivo devono essere supportati più degli altri. Ma mentre per l’Italia purtroppo nessuno ha potuto essere presente per raccontare la situazione delle nostre coste, il ministro dell’immigrazione greco era invece padrone del palco. Il ministro di Nuova Democrazia ha infatti più volte ricordato a quali cifre deve fare fronte ogni giorno la Grecia: 800 sbarchi quotidiani sulle isole, campi governativi sovraffollati e una situazione in Turchia che certo non aiuta a mantenere controllate le frontiere.
Combattere i trafficanti e usare meccanismi di ritorno sono la soluzione per il nuovo governo greco, che si ritiene la sponda vulnerabile d’Europa. Ma come si può pensare di rimpatriare famiglie e minori, che costituiscono la maggior parte dei migranti in Grecia, che provengono per la maggior parte da paesi come Afghanistan, Siria, Iraq?
La parola passa alla Turchia che detiene il primato di paese ospitante con 3,7 milioni di sfollati siriani, in aggiunta ai 400 mila provenienti dall’Iraq. Da otto anni queste persone aspettano di lasciare il paese per tornare a casa o per tentare la fortuna in Europa. Da parte dello Stato turco e con il contributo economico dell’Europa, la costruzione di campi profughi è servita principalmente ad arginare lo spostamento di queste persone che non si possono considerare integrate. Infatti lo stesso ministro dell’interno turco ha più volte ribadito che l’intenzione è quella di far tornare le persone nella propria abitazione. Peccato che nel caso degli iracheni e siriani questo sia difficilmente applicabile soprattutto con scenari nuovi, come l’invasione del nord-est della Siria, che servirebbe proprio a riportare a casa due milioni di siriani. Ma queste persone non provengono da quella zona della Siria…
Quello che emerge dalle parole di questi governanti è in sintesi un’esigenza di protezione dei confini, che va oltre un bisogno di un’agenda condivisa sulle politiche migratorie. Sono state per fortuna ricordate anche le vie di accesso legali che dovrebbero accompagnare la lotta al traffico dei migranti, mantenendo alta l’attenzione sui diritti umani sempre citati ma spesso non rispettati.
E mentre ci troviamo ad una indiretta competizione di chi ha più problemi riguardante questa tematica, il delegato olandese centra il nodo principale: Il sistema di asilo in Europa è designato e continua dunque a funzionare solo per i rifugiati e non per i migranti. Quest’ultimi però, non essendoci altre vie condivise di accesso legale, continuano ad accedere al percorso dell’asilo nella speranza di avere un futuro in Europa. Finché non adegueremo il sistema asilo a questa tipologia di richiedenti, il problema non verrà risolto. Ovviamente fondamentale come ha ricordato la Germania è superare Dublino ed impegnarsi per coordinare un sistema europeo che per esempio utilizza al meglio le agenzie come Frontex ed EASO.
Anche paesi come la Svezia che da sempre si distinguono per un sistema di accoglienza virtuoso iniziano a sottolineare le falle del sistema chiedendo di dare priorità alle redistribuzioni, ponendo l’accento sui movimenti secondari. Non bastano le sanzioni, serve un servizio organizzato a livello europeo, servono soluzioni globali.
Come ricordato da un membro della Commissione Europea, 40% della discussione politica della commissione verte sul tema dei migranti, gli errori ormai sono conosciuti come sempre di attesa troppo lunghi. Dobbiamo forse iniziare a cambiare la narrativa dell’immigrazione ponendo l’accento su solidarietà e responsabilità. Solidarietà significa anche preservare quello che l’area Schengen ha garantito riguardo al libero movimento dei cittadini, ma serve anche la responsabilità: rispettare le leggi e i confini, senza scordarsi di implementare la legge sull’asilo e salvaguardare i diritti umani.
Una cosa è certa e mi trova d’accordo: gli Stati non possono pensare di negoziare singolarmente, ponendo sul tavolo le proprie condizioni e mettendo veti. E la prossima volta, l’Italia non può e deve mancare.