In questi giorni tutti i media tornano a parlare, a scrivere di curdi. Un popolo da sempre in lotta per i propri diritti, in un’area calda come quella a cavallo tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Il Kurdistan è eterogeneo e complesso, ma accomunato da continue crisi e invasioni.
Il 22 Ottobre, alle ore 12.30, avviene una svolta nella ultima fase di questa guerra, localizzata in quell’area: l’incontro tanto atteso tra il presidente russo Vladimir Putin ed il suo omologo Recep Tayyip Erdogan per affrontare il conflitto siriano, a Sochi.
La situazione iniziale era complessa: con il ritiro delle truppe americane, le truppe turche hanno potuto annunciare la loro invasione nel nord est della Siria, iniziando l’operazione “Fonte di Pace” il 9 ottobre, con l’obiettivo di combattere la milizia curda YPG e creare una zona cuscinetto, che si dovrebbe estendere dall’Eufrate fino al confine iracheno, quasi 500 chilometri di lunghezza e 35 km di profondità, con il benestare degli Stati Uniti che hanno concesso tutto questo, di fatto, dopo aver combattuto per anni al fianco dei curdi contro lo Stato Islamico.
Erdogan sa molto bene che per raggiungere i propri obiettivi, deve per forza avere anche il benestare russo. Perchè? La zona cuscinetto dovrà essere costantemente monitorata dai soldati turchi, e questo non potrà accadere senza l’approvazione di Mosca. Che nel frattempo con la Turchia ha scambi commerciali da 2.5 milioni di dollari in vendita di armamenti, come il famoso apparato di difesa missilistico russo S-400.
Questo di certo non fa felice gli Americani, alleati Nato della Turchia, che infatti hanno escluso Erdogan del progetto di acquisto F35, poiché i sistemi di difesa risultano tra loro incompatibili.
I rapporti tra Ankara e Mosca sono stati sempre idilliaci? Assolutamente no! Anzi, erano sull’orlo del collasso nel novembre 2015, quando i combattenti turchi avevano abbattuto un bombardiere russo oltre il confine turco-siriano. In seguito le relazioni sono state gradualmente normalizzate e i due Paesi hanno iniziato a cooperare in Siria e l’acquisto degli armamenti non fa altro che siglare questa nuova intesa“
Ecco quindi che Putin ha a sua volta obiettivi ben precisi: da una parte ha interessi affinché Bashar al-Assad riprenda completo controllo della Siria, mentre dall’altra parte vuole mantenere buoni i rapporti con Erdogan, necessario per programmare il dopoguerra siriano.
Dunque, ricapitolando:
– La Turchia oggi riconosce l’unità politica e l’integrità territoriale della Siria (in un certo senso l’opposto di quello che proclamava durante i primi anni della guerra);
– Il governo russo accetta de facto l’operazione militare turca, rimandando ogni decisione agli accordi di Adana. Con questo accordo, siglato nel 1998 dal padre di Bashar Al Assad, la Siria garantiva che le milizie curde non avrebbero attaccato la Turchia da territorio siriano. Inoltre entrambe le potenze si impegnano a sostenere gli sforzi della Commissione Costituzionale;
– La Turchia estende di 150 ore il cessate il fuoco, dopo le quali avrà inizio un pattugliamento congiunto turco-russo. Questo per il momento consente alle organizzazioni umanitarie di proseguire nell’opera di soccorso e sostegno alla popolazione civile;
– La zona cuscinetto, richiesta da Erdogan, sarà posta tra Iraq del nord e l’Eufrate nel sud, lunga circa 500 km e profonda 30 km, dalla quale lo YPG si ritirerà. Questo avverrà grazie all’ingresso, nell’area, della polizia militare russa;
– Una parte tra le città di Tel Abyad e Ras al-Ain sarà controllata direttamente dalla Turchia;
– Ad est ed ovest della della striscia controllata dai turchi, Putin ed Assad controlleranno la zona. Qamishli andrà sotto controllo di Assad, mentre tutti i componenti delle YPG e le loro armi saranno allontanati da Manbij e Tal Rifat;
-“Sforzi congiunti saranno lanciati per facilitare il ritorno dei rifugiati in modo sicuro e volontario”. Si tratta di 2 milioni di siriani attualmente fermi in Turchia. È difficile immaginare questo “ritorno volontario” dal momento che queste persone non sono originarie di questa zona della Siria.
Si tratta di un accordo molto complesso che presenta altrettanti dubbi e questioni. Intanto la fascia del nord est siriano vede già 200.000 civili in fuga e numerose violazioni del diritto umanitario. La Turchia ha più volte violato la tregua promessa. La popolazione lì presente finora, per altro, non è di etnia solo curda, ma è un mix di culture e religioni diverse, in un progetto di confederalismo democratico, che porta avanti iniziative ecologiste, femministe, decentralizzate. Verranno allontanati indistintamente?
Chi sono i vincitori è difficile dirlo, che cosa abbia in serbo l’America di Trump, per aver concesso tutto questo, lo scopriremo presto. Come scopriremo cosa guadagneranno dagli accordi recenti la Turchia e la Russia, dal momento che Erdogan e Putin sono momentaneamente così soddisfatti.
Di certo a perdere sono ancora una volta i curdi, ma soprattutto sono perdenti i siriani, popolo che da quasi dieci anni non conta più niente, se non come merce di scambio.
Infine, merita attenzione il modello politico – sociale del Nord Est della Siria, non solo un esperimento di democrazia, ma un vero e proprio modello di società. Quel modello che adesso viene spazzato via da decisioni altrui, senza contare le vittime civili, la perdita economica e l’impegno della cooperazione internazionale nel contribuire insieme alla popolazione locale ad una rinascita pacifica.