Una delegazione formata da 140 rappresentanti di associazioni locali e sindacalisti provenienti da 11 città del paese, insieme a quasi 50 delegati internazionali provenienti dal mondo dell’attivismo, delle Ong, del giornalismo. Insieme alla conferenza organizzata dalla Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI), ovvero le iniziative di solidarietà della società civile irachena.
Il presupposto è chiaro: gli iracheni, il loro attivismo e la solidarietà, come concetti alla base della rinascita di un Nuovo Iraq, dopo la dittatura, dopo la guerra, dopo Isis.
Il cammino di Icssi è iniziato 10 anni fa e approda per la prima volta a Baghdad dopo un lungo percorso di organizzazione della società civile irachena e una sempre più attiva partecipazione dei giovani iracheni che si sono costituiti nell’ Iraqi Social Forum (ISF) e del Kurdistan Social Forum (KSF) con un crescente numero di partecipanti.
Sullo sfondo le figure portanti del mondo associazionistico, tra cui spicca la Ong italiana “Un Ponte Per…”, nata nel 1991 proprio per sostenere Baghdad nella Prima Guerra del Golfo e da allora incessantemente a fianco del popolo iracheno. E’ grazie al loro invito che siamo qui, a Baghdad, dopo averli accompagnati nella tappa del 2017 nel Kurdistan iracheno.
Impressionante vedere come il numero degli attivisti sia sempre più alto.
Le nuove sfide, le iniziative di socializzazione, le campagne a difesa dell’ambiente, il sostegno ai difensori dei diritti umani e delle minoranze, l’ appoggio ai sindacati dei lavoratori.
Il tutto in chiave propositiva, scegliendo ogni volta basi diverse ed internazionali come Roma, Parigi, Erbil, Bassora, Oslo e Suleymania, fino ad approdare, finalmente, a Baghdad, nel 2019.
Qui è presente la più grande delegazione degli ultimi anni.
La conferenza inizia con una riflessione sul percorso di questi 10 anni, dando il giusto peso a tutti gli attori, compresi i volontari, giovanissimi, che anno dopo anno si uniscono in un cammino di ricostruzione sociale. Analisi della situazione politica, della persistente crisi economica, delle varie forme di sfruttamento del potere, e delle risposte dei movimenti sociali.
La lotta del Kurdistan, le battaglie ambientaliste e quelle per i diritti, delle donne, delle minoranze, degli sfollati interni, dei profughi. Il popolo iracheno è devastato da decenni di guerre, dalla repressione violentissima, ed è quindi abituato a concepire la violenza in toni accesi, esasperati. Ecco che le iniziative di solidarietà vanno a inserirsi proprio in un concetto di non violenza fortemente voluto e assolutamente premiante. Là dove il “peace building” si innesta a costruire soluzioni pacifiche per ottenere i propri diritti, la società evolve e la cultura del radicalismo cessa di pulsare, per lasciare spazio a iniziative nuove e non violente.
La forza di questo giovanissimo paese (dove l’80% degli abitanti ha meno di trent’anni) sta proprio nel trovare nello sport, nella cultura, nella difesa dell’acqua la sua strategia di lotta pacifica, ma tenace. Battaglie dalle quali la politica irachena non potrà esimersi.
La corruzione, il potere di una classe politica post dittatura, la recente occupazione di Daesh (ISIS), hanno provocato rivolte in una popolazione che adesso cerca riscatto. Un popolo giovane e resiliente, che scegli di restare, e di ricostruire, su basi nuove e insindacabili come la non-violenza.
E le realtà internazionali? Sono chiamate a documentare il processo e a sostenere come possono: quello che salta agli occhi è che la richiesta non è quella squisitamente economica, certamente preziosa, ma piuttosto un aiuto nella progettazione e nella comunicazione, il più possibile a lungo termine. I progetti spot sono certamente ben accetti, ma quello di cui hanno bisogno gli iracheni oggi sono visioni a lunga scadenza per rimettere in piedi un vero e proprio stato sociale