E’ di questi giorni la notizia dell’ennesimo sopralluogo in aziende della zona Osmannoro, zona industriale di Sesto Fiorentino vicina all’area pratese. Qui, in un’azienda a conduzione cinese, si sono palesati i fatti che da anni denunciamo sui territori: lo sfruttamento del lavoro ha raggiunto livelli indescrivibili e il caporalato di tipo aziendale utilizza migranti come lavoratori non-stop.
Dai giornali si apprende che in tutte le aziende visitate, tutte a conduzione cinese, si sono riscontrati livelli di incuria e il totale non rispetto delle norme in termini di sicurezza e igiene. Infatti oltre ad essere sovrannumero i lavoratori si trovavano in mezzo a rifiuti e cibo lasciato ad essiccare. In mezzo ai macchinari si racconta di culle e carrozzine con bambini piccoli che dormivano nel mezzo del rumore delle macchine per cucire accese.
I lavoratori, che ovviamente non hanno potuto denunciare il fatto sotto lo sguardo vigile dei responsabili che li osservavano, hanno però poi raccontato lo stato di sfruttamento in cui sono costretti a lavorare. 7 giorni su 7 con turni anche di 12 ore consecutive. Per una paga oraria di circa 2 euro l’ora. Niente di diverso insomma dalla condizione che le vittime del caporalato agricolo vivono nella campagna di tutta Italia, anche in Toscana.
Qui però, ci troviamo in città, nella periferia fiorentina che porta a Prato. Qui le aziende tessili e manifatturiere sono migliaia. Da anni i nostri Consiglieri regionali 5 Stelle chiedono alla Regione di effettuare controlli e monitoraggi. Ovvio che esistono aziende in regola, italiane e straniere, che garantiscono ai lavoratori contratti in regola ed un ambiente sano. Purtroppo però i controlli a campione avvenuti in questi giorni sembrano portare alla luce una realtà molto preoccupante. Addirittura, pare che siano stati individuati bambini di circa 12 anni che erano proprio lì per lavorare, in orario mattutino, invece di essere a scuola. Sfruttati e derubati di qualsiasi diritto.
La comunità cinese in quella zona è assolutamente la più numerosa tra quelle straniere. Indubbiamente ci sono famiglie cinesi che hanno deciso di integrarsi sul territorio attraverso l’uso dei servizi, grazie ai progetti di integrazione promossi, attraverso la crescita dei bambini che frequentano le scuole italiane. Purtroppo però, come accade spesso quando le maglie dei controlli si allargano, il business della illegalità si scatena portando alla luce ogni maniera per trarre profitto dallo sfruttamento delle persone, meglio se vulnerabili. Il motivo per cui stanno aumentando i lavoratori africani nelle fabbriche cinesi, infatti, sembra imputabile ad un calo degli arrivi di manodopera cinese a basso costo. I migranti africani, invece, più o meno regolari, con o senza permesso di soggiorno, possono accettare di lavorare senza alcun diritto perché questo diventa unico appiglio alla sopravvivenza, quando addirittura non si è minacciati dal datore con il sequestro dei documenti. Quello che di norma accade nelle campagne.
Siamo abituati a sentire storie di caporalato agricolo al Sud.
La nostra Toscana non è purtroppo immune da questa problematica, e la legge, sebbene implementata, non sembra fare abbastanza. I nostri consiglieri regionali Giannarelli, Quartini, Galletti e Bianchi si sono occupati da sempre di questa problematica e dopo il tragico incidente del 2013 a Prato, in cui nell’incendio di una fabbrica morirono 7 operai cinesi, furono presentate al Presidente Rossi mozioni e interrogazioni che chiedevano di ampliare i controlli sulle attività imprenditoriali orientali del distretto tessile-manifatturiero che non risultavano in regola con il fisco. La regione decise nel 2014, purtroppo dopo, e non prima del rogo, di attuare il piano “lavoro sicuro”. Fino al momento dell’incidente infatti, non risultava nessuna mappatura delle aziende cinesi ispezionate. Fu disposta, grazie alle richieste effettuata dai nostri consiglieri, un’intensificazione dei controlli e centinaia di aziende risultarono non in regola, costrette quindi a chiudere. La ASL infatti fu chiamata a ispezionare ben 7.700 imprese iscritte alla Camera di Commercio di Prato, Firenze, Empoli e Pistoia.
Il procuratore Giuseppe Nicolosi e i sostituti Lorenzo Gestri e Antonio Sangermano furono auditi dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro e malattie professionali che li ha convocati per un’audizione il 21 febbraio 2017. Due i temi pratesi: lo stato di salute delle aziende cinesi emerso dai controlli a tappeto ordinati dalla Regione dopo la tragedia di via Toscana e il fenomeno, relativamente nuovo “nella civile Toscana”, del caporalato con lavoratori stranieri, in larga parte richiedenti asilo, reclutati a Prato per essere impiegati nelle vigne del Chianti con salari da fame.
Si colse insomma, che quella pratese fosse, e lo è tuttora, l’esempio della crisi del settore tessile che ha prodotto un impoverimento non solo economico e ha messo in moto l’affannosa ricerca di una nuova identità dopo lo stravolgimento degli ultimi anni dovuto anche all’immigrazione in massa.Imprese totalmente basate su prestanome che aprono e chiudono ogni giorno, grazie alla burocrazia semplificata destinata alle aziende individuali, senza quindi il filtro di nessun intermediario. I controlli del fisco, della Finanza, dell’INPS sono purtroppo lenti e spesso arrivano quando l’azienda ha già chiuso e quindi ha potuto delinquere e sfruttare indisturbata.
Evidentemente però in quell’area industriale serve, come nel settore agricolo italiano, un monitoraggio costante, per cogliere le aziende “furbette” e permettere così a quelle oneste di poter lavorare degnamente.
Quando infatti si persegue la legalità, il fine ultimo non deve essere quello di fare giustizia assicurando i delinquenti alle autorità, ma soprattutto garantire alle aziende serie, italiane e straniere, il diritto a fare profitto lavorando in una ambiente sano e con una concorrenza che non si basi sullo sfruttamento del lavoro e sull’abbassamento dei salari.
In ambito agricolo sappiamo che il caporalato consente di annullare il costo della manodopera, abbassando i prezzi al consumatore finale. Lo stesso avviene nelle industrie. Questo distrugge l’economia circolare del territorio e si riflette sulla società in toto.
E’ recente il protocollo di intesa firmato da Regione Toscana con il Ministero del Lavoro, l’INPS, INAIL e i sindacati dei lavoratori per la tutela dei loro diritti e la stabilità del territorio.
Il protocollo però non può essere un mero strumento per mostrare che c’è volontà politica di controllo del fenomeno: occorre che i monitoraggi siano effettuati, che le forze dell’ordine abbiano strumenti e mezzi per agire in modo corretto e proficuo. Che i lavoratori e i cittadini si sentano rassicurati dalla volontà di legalità.